
Andra Guti, migliore attrice per il film rumeno ALICE T. © Locarno Festival

Yeo Siew Hua, il regista del film vincitore © Locarno festival/ Samuel Golay
Alle ore 15 di oggi, 11 agosto, le giurie hanno comunicato in conferenza stampa le loro scelte. Stasera in piazza, dalle 21 circa, cerimonia di premiazione. Del Pardo d’oro al film di Singapore A Land Imagined ho già detto nel precedente post. Adesso segnalo tutti i premi ufficiali delle varie sezioni (a parte i corti: per quelli rimando alla pagina del festival). Cliccando i link troverete la mia recensione.
CONCORSO INTERNAZIONALE
Pardo d’oro
A LAND IMAGINED di Yeo Siew Hua
Premio speciale della giuria
M di Yolande Zauberman
Pardo per la migliore regia
TARDE PARA MORIR JOVEN di Dominga Sotomayor
Premio per la migliore interpretazione femminile
Andrea Gutj per ALICE T. di Radu Muntean
Premio per la migliore interpretazione maschile
Ki Joobong per GANGBYUN HOTEL di Hong Sangsoo
Menzione speciale
RAY & LIZ di Richard Billingham
Il grande sconfitto, inutile nasconderselo, è l’argentino La Flor, capolavoro annunciato ma non confermatosi alla visione, e giustamente ignorato dalla giuria. Che Hong Sangsoo, che ha portato in concorso con Gangbyun Hotel un capolavoro, non avrebbe vinto il Pardo era abbastanza scontato, avendone già incamerato uno nel 2015. Al solito lo si risarcisce, come si fa in questi casi, con un premio minore, stavolta al suo attore Ki Joobong: che è magnifico, ovviamente. Quanto alla giovane attrice rumena premiata, ho detestato lei, il suo personaggio e il film, e non aggiungo altro. C’era di meglio nel panorama delle premiabili, ad esempio le protagoniste del turco Sibel e dell’americano Diane (ma si sa, i film indipendenti Usa qui non finiscono quasi mai nel palmarès, si preferisce la qualità europea, qualunque cosa significhi). È una sorpresa ma non uno scandalo che il Pardo sia andato a A Land Imagined. Il ragazzo di Singapore ha talento e un gran coraggio nel raccontarci una storia di lavoratori stranieri digraziatissimi negli schiavistici cantieri di Singapore miscelando neo-neorealismo di denuncia, noir e escursioni nel fantastico-surreale alla Lynch nell’era del virtuale. Il premio della giuria a M va a un docufim che, indagando sui casi di pedofilia all’interno di una comunità ortodossa d’Israele, ce la fa a evitare il sensazionalismo e il voyeurismo che spesso si accompagnano alla trattazione di un tema tanto esplosivo. Premio non demeritato. Condivisibile pure la menzione al britannico Ray & Liz, cinema forse troppo tradizionale, pur nel suo stile punk, per i giurati di Locarno. Premio alla regia molto, molto discutibile: vero, è proprio la regia della cilena lk Sotomayor il lato più convincente tra tanti che lo sono meno di Tarde para morir joven, racconto di formazione (con echi autobiografici) in una comune di homeless e artisti hippizzanti nel Cile del 1990. Evocazione perfetta, ma film drammaturgicamente fragile fino all’evanescenzazxxxkk. Immagino che il presidente Jia Zhangke, che nei suoi film molto ha raccontato le condizioni del lavoro in Cina, abbia apprezzato A Land Imagined del giovane regista di Singapore (città-stato a maggioranza e cultura cinese) che di lavoro e lavoratori tratta. Tra gli sconfitti bisogna mettere Menocchio di Alberto Fasulo, unico italiano in gara, e francamente non si può accusare la giuria di iniquità.
CONCORSO CINEASTI DEL PRESENTE
Pardo d’oro
CHAOS di Sarah Fattahi
Il suo precedente Coma, girato in un appartamento di Damasco, nella Damasco in guerra, fu una folgorante scoperta a Torino. Adesso, in esilio, Sarah Fattahi racconta di vite femminili expat variamente travolte dalla guerra civile siriana, ma si perde in vezzi altoautorialistici e vari manierismi. Lontana da Damasco, non ce la fa replicare la densità e il senso di necessità del suo primo film. Francamente troppo premiare Chaos con il Pardo d’oro di Cineasti del presente, la sezione seconda nel ranking del festival.
Premio per il miglior regista emergente
DEAD HORSE NEBULA di Tarik Aktaş
Da qualche parte della Turchia asiatica (a me è sembrato l’interno della costa egea, ma potrei sbagliarmi). Un bambino trova nei campi un cavallo morto e già putrescente. Il film seguirà il ragazzino da giovane adulto nei suoi incontri con altri animali, incontri che oscuramente si connetteranno a quel suo trauma infantile. Narrazione azzerata, concatenazioni inconsce in un cinema al limite estremo del cinema che sfiora, anche pericolosamente, la videoart. Di quelle opere sospese tra l’alta autorialità e la bufala clamorosa. Ma Dead Horse Nebula, al di là della sua pretenziosità e oscurità, nei momenti migliori ce la fa a restituirci il ritratto di un giovane maschio indebolito e guidato, anzi travolto, dai suoi fantasmi.
Premio speciale della giuria
CLOSING TIME di Nicole Vögele
Ottimo docu girato da una svizzera a Taiwan registrando impassibilmente e senza commenti, come usa adesso nel cinema del reale, cucine e tavole di ristoranti, officine, sale da gioco, esterni urbani di inimmaginabile desolazione, nonostante il benessere ormai diffuso. E quando scoppia la tempesta e Taiwan viene sommersa dal diluvio sembra di stare in Tsai Ming-Liang. Un premio abbastanza condivisibile.
Menzioni speciali
FAUSTO di Andrea Bussmann
Da qualche parte della costa messicana (a me era sembrato Nord Marocco, per via di interventi in arabo, ma il pressbook parla di Oaxaca). Storie di fantasmi, di case stregate, mitologie, leggende di mare e di terra. Un documentario fantastico, che esplora stavolta non il reale ma quello che sta celato e alimenta i sogni e gli incubi. Si meritava anche più di una menzione. Di una regista canadese. Immagino sia molto piaciuto al giurato Ben Rivers, autore di un cinema non lontano da questo.
Rose, personaggio di L’EPOQUE di Matthieu Bareyre
Terribile documentario francese sul popolo della notte di Parigi, ingessato in gabbie ideologiche e cliché di ogni tipo. La menzione, stravagante ma non troppo, è per Rose, ragazza francese di radici africane che nel film è presenza ricorrente e quasi la testimone, il simbolo, con le sue invettive contro il potere e i poteri, il razzismo, la xenofobia, e con il suo corpo dipinto, scritto, riempito di graffiti e segni come in una performance. Rose, come ho scritto nella mia recensione, dice cose che non condivido, ma è difficile non volerle bene, e resta il meglio di questo brutto film.
Palmarès assai sbilanciato. Vero che quest’anno in Cineasti del presente di capolavori non se ne son visti, e però qualcosa di meglio di Chaos c’era. Per esempio il bellissimo israeliano Hatzila (The Dive). il francese Sophia Antipolis di Virgil Vernier, il brasiliano Temporada. Che spero si possano rifare altrove.
OPERA PRIMA
Premio per la migliore opera prima
ALLES IS GUT di Eva Trobisch
Da Cineasti del presente. Una sventurata giovane donna di Monaco (di Baviera) resta incinta dopo lo stupro da parte di un ex compagno di scuola. Tenuto su un registro freddo, di pura osservazione, depotenziando ogni possibile climax. Con un che di dardenniano dentro, anche se Alles is Gut (Va tutto bene, classica antifrasi) non racconta di gente ai margini. Non male, da rivedere. Ma tra le opere prime forse c’era qualcosa di più incisivo da premiare. Commentando il palmarès nella sua globalità il direttore artistico uscente Carlo Chatrian ha dichiarato: “Le giurie hanno premiato 12 donne – fra cui due registe svizzere – su 25 riconoscimenti”. E allora io, che detesto ogni metooismo e correttismo, mi chiedo se davvero sia un giusto bilanciamento o se, come nel caso del premio Opera prima, abbia molto contato, oltre che la qualità del film, il genere di chi stava dietro la macchina da presa.
Swatch Art Peace Hotel Award
RUGSTUS MISKAS (Acid Forest) di Rugile Barzdziukaite
Non l’ho visto
Menzione speciale
TIRSS, RIHLAT ALSOO’OUD ILA ALMAR’I (Erased, Ascbet of the Invisible) di Ghassan Halwani
Non l’ho visto
PIAZZA GRANDE
Prix du Public UBS
BLACKKKLANSMAN di Spike Lee
Variety Piazza Grande Award
LE VENT TOURNE di Bettina Oberli
Non l’ho visto
Per i Pardi di domani (cortometraggi) rimando al pdf ufficiale del festival con i premi
Palmarès_ITA