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Channel: cineasti del presente – Nuovo Cinema Locatelli
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Festival di Locarno 2016. Recensione: MAÑANA A ESTA HORA (Domani alla stessa ora) di Lina Rodríguez

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OC889378_P3001_213599Mañana a esta hora, un film di Lina Rodriguez. Con Laura Osma, Maruia Shelton, Francisco Zaldau, Clara Monroy, Catalina Cabra.Colombia 2016. Cineasti del presente.
OC889376_P3001_213597Un film che per almeno mezz’ora racconta il niente di una famiglia medioborghese di Bogotà. Poi, quando esasperato stai per scappare, ecco che di colpo il film svolta e acquista un senso. Cinema radicale che cerca di catturare e resituire il nulla, il voto, la qualunquità rischiando di finirci dentro, ma che vince la sua scommessa. Voto 6 e mezzo
OC889375_P3001_213596Festival – questo Locarno 69 – di film eccentrici e fuori-margine, per i più svariati motivi. Di film che per almeno un’ora fan venire voglia di scappare e invece no, meglio fermarsi e resistere, perché poi finiscono con l’acquistare il loro senso, a comprre anche le parti apparentemente incongrue o folli o inutili in un insieme coerente. È successo clamorosamente con uno dei migliori fino  a oggi, il polacco del concorso The Last Family, spossante e urtante per metà e anche oltre e che poi decolla, ed è successo con il defatigante portoghese Correspondencias, sempre della competizione principale, che alla fine ti ripaga dello sforzo e della sofferenza cui ti costringe per almeno un’ora e mezza. Ma il caso più clamoroso di un film apparentemente vacuo che poi, attraverso un twist che non ti aspetti, acquista peso e significato è questo colombiano Domani alla stessa ora. Parte raccontandoci lo zero, il nulla, il sottovuoto spinto. Una qualsiasi famiglia medioborghese di Bogotà – orami nei consumi, nei modi e nei vezzi omologata a qualsiasi altra media famiglia del pianeta (si parla di diete a base di quinoa, ecc. ) – consuma i suoi giorni e le sue sere tra piccoli scazzi, soprattutto tra la figlia (bellissima) e il padre che vorrebbe essere più severo con lei ma non ce la fa, e la mamma, che di mestiere fa catering, a mediare tra i due. Fuori casa, vediamo la figlia con fidanzato e amici a parlare di cazzate, tipo perchè non facciamo un salto in un sexy shop a comprarci qualcosa? Mezz’ora e più di quotodiane banalità, di insulsaggini, di gente vacua di cui non ci importa niente, senza il minimo tentativo da parte della regista di costruire una narrazione purchessia. E però con una visione di cinema, uno stile precisi e rigorosi. Tutto filmato frontalmente a camera fissa (tutt’al più lievi spostamenti di qualche centimetro), con i personaggi in primo piano o a mezzo busto a occupare lo schermo, nascondendoci quanto sta intorno. In uno sciupio vistoso e irritante dello spazio filmico. Si sbuffa, ci si arrabbia, ma perché questa signora si mette a fare film se non ha niente da raccontarci? e perché a Locarno l’hanno selezionato? Forse, come in tanto cinema nuovo, si vuole azzerare ogni filtro tra realtà e rappresentazione, mostrando il vacuo e il qualsiasi per quello che sono, senza make-up. Forse. Poi lo schermo per un paio di secondi si spegne, si fa nero. Quando si riaccende ritroviamo, in una scena di lutto, tutti i personaggi pprecedenti tranne uno, morto all’improvviso. Una morte che ridisegna le vite degli altri, dei sopravissuti costringendoli a guardare in profondità, una profondità che prima non mostravano di avere. Come se quella morte avesse aggiunto al film, in precedenza, piatto, bidimensionale, la terza dimensione. Niente è cambiato e tutto è cambiato. Film radicale nella sua apparente inconsistenza, nel suo riprodurre la qualanquità e il vuoto per poi avvertirci che anche il vuoto può nascondere il rischio, la minaccia, il pericolo, l’inconoscibile. Film lineare e insieme complesso, assai consapevole e concettuale. Resta da vedere se la regista Lina Rodriguez riuscirà a costruire un cinema che non sia solo la pura replica di questo Domani alla stessa ora.


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